Dr. Vincenzo Filippi

Psicologo Psicoterapeuta

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sindrome del colon irritabile

La Sindrome del Colon Irritabile (o Irritable Bowel SYndrome-IBS in inglese) è una patologia relativamente recente dal punto di vista della definizione diagnostica.

I suoi sintomi sono stati individuati per la prima volta da Da Costa nel 1871 e raccolti sotto il nome di enterite membranosa.

Si deve poi a Bockus (1929) l’attuale definizione clinica ovvero “una serie di disturbi persistenti all’alvo intestinale che non dipendono da alcuna patologia lesionale conosciuta”.

È il disturbo più comune che riguarda il colon ed è associato con due o più dei seguenti sintomi, di cui almeno uno si dovrebbe verificare una volta su quattro:

  • dolore o disagio addominale, alleviato con la defecazione
  • cambiamento nella frequenza delle feci
  • alterazione dell’aspetto, del colore e dell’odore delle feci (feci dure, sciolte o acquose)
  • alterazione del passaggio delle feci (con sforzo o urgenza, con la sensazione di evacuazione incompleta)
  • produzione di muco
  • rigonfiamento o sensazione di rigonfiamento addominale

I sintomi devono essere continui o verificarsi per almeno 3 mesi.

Altri sintomi somatici presenti nell’IBS sono:

  • flatulenza
  • mal di testa
  • letargia
  • frequenza ad urinare
  • mal di schiena

I sintomi psichici più frequentemente rilevati sono ansia e depressione (Pancheri, 1987).

Chi ne soffre?

L’IBS è un disturbo molto diffuso, molto di più di quanto se ne parli, sottovalutato e poco curato. E’ comunemente riscontrata nei paesi occidentali, con percentuali nella popolazione generale che variano dal 10 al 20% . In Italia ne soffre il 10-18% della popolazione generale giovane-adulta, con una prevalenza da 2 a 3 volte maggiore tra le donne.

Solo il 25% dei pazienti affetti da IBS si rivolge al medico di base o allo specialista.

È presente soprattutto in quella tipologia di persone che lavorano nel mondo manageriale, industriale, politico, accademico, imprenditoriale, finanziario, bancario, ecc.

Cioè in quei contesti lavorativi molto stressanti, dove regna la competizione, le persone sono impegnate a far carriera e obbligate a portare risultati raggiungendo standard molto elevati.

La sindrome è diffusa soprattutto nel mondo femminile (è per questo che viene considerata una malattia di genere), ma ultimamente sta dilagando anche nel mondo maschile.

Negli USA viene anche chiamata “career woman’s disease” o malattia delle donne in carriera, perché colpisce soprattutto le donne ambiziose tese al raggiungimento di obiettivi e alti livelli di carriera.

Quali sono le cause?

Nel 50% dei casi la sindrome è di natura funzionale (non presenta cause organiche chiaramente dimostrabili e i risultati dei test diagnostici sono negativi).

Nonostante questa caratteristica funzionale il 92% dei pazienti presenta gli stessi sintomi a distanza di 10-13 anni dalla prima diagnosi. Nel tempo i disturbi aumentano, la qualità della vita peggiora e il paziente è costretto a una sorta di isolamento sociale e lavorativo.

Spesso la cronicizzazione del disturbo è causata dall’approccio fai-da-te alla cura (diete sbagliate, prodotti di erboristeria, lassativi non idonei) o dalla stoica sopportazione dei sintomi senza ricorso a cura specialistiche.

Purtroppo alla lunga la sindrome può comportare seri problemi sia organici sia psicologici.

Il segreto per arrivare alla soluzione è instaurare un rapporto di estrema fiducia e confidenza con il proprio corpo e “capire” il proprio intestino.

L’intestino è considerato, a ragione, il “secondo” cervello del nostro organismo. Da un lato controlla la sua motilità e sensibilità grazie al sofisticato plesso mioenterico che lo avvolge, dall’altro produce enormi quantità di serotonina, neurotrasmettitore sintetizzato anche dai neuroni, che ha molto a che fare con il tono dell’umore.

I pazienti sono convinti o preferiscono pensare che la sindrome del colon irritabile abbia solo cause organiche e per questo si rivolgono soprattutto al gastroenterologo piuttosto che ad uno psicoterapeuta. Invece le cause psicologiche sono spesso preponderanti.

Il modello psico-somatico del disturbo sostiene che i sintomi fisici dell’IBS sono perpetuati dall’interazione di fattori fisiologici, psicologici e sociali.

Tra i fattori psicologici e sociali vi sono:

  1. il perfezionismo o meglio la difficoltà di conciliare le aspirazioni di autorealizzazione con gli ideali di perfezionismo che il paziente ha interiorizzato (vale sia per gli uomini che per le donne). Questo conflitto tra aspirazioni e standard severi rende le persone costantemente preoccupate di non essere all’altezza e le espone a livelli elevati di stress cronico.
  2. la difficoltà ad esprimere in modo diretto, esplicito e verbale il proprio disagio psicologico che quindi si rende manifesto attraverso sintomi fisici quali l’IBS
  3. il conflitto del ruolo di genere (soprattutto per le donne). Per conflitto del ruolo di genere si intende un conflitto del modo in cui ci si rapporta al mondo, a seconda del proprio genere sessuale. Nella nostra cultura le donne sono esposte a messaggi contraddittori che riguardano il loro ruolo di genere: da una parte viene richiesto loro un comportamento specifico in quanto donne (materno, dipendente, emotivo-affettivo, accudente, compiacente verso gli altri) dall’altra tale comportamento viene svalutato, giudicato come inferiore e soprattutto invalidante poiché non permette alle donne di ottenere una realizzazione personale, specialmente nel campo lavorativo. Tale conflitto può evolvere nella sindrome del colon irritabile quando la persona non riesce a focalizzarsi e a prendere consapevolezza del conflitto che sta vivendo e lo dirige verso il corpo.
  4. la tendenza ad auto colpevolizzarsi. Si intende la tendenza ad assumersi la responsabilità di qualsiasi evento negativo e si traduce in elevati livello di autocondanna. Anche la tendenza ad auto colpevolizzarsi rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di IBS
  5. il Self-silencing scheme (Jack & Dill,2006). Il Self-silencing scheme è uno schema di comportamento caratterizzato dalla tendenza ad autozittirsi, ad assecondare le esigenze altrui facendo ciò che gli altri si aspettano, negando e svalutando i propri pensieri e bisogni. Il self-silencing scheme ha 4 componenti di base:
  • l’ Externalized self-perception ovvero l’autovalutazione con gli occhi degli altri piuttosto che dei propri
  • il Care as self-sacrifice ovvero la considerazione della cura dell’altro come auto-sacrificio, un’assicurarsi gli affetti mettendo i bisogni degli altri prima dei propri
  • il Silencing the self ovvero l’ ammutolire il sé, inibire l’espressione del sé al fine di evitare i conflitti con possibili perdite affettive e relazionali
  • il Divided self ovvero possedere un sé diviso: un falso sé che si conforma a certi imperativi sociali, mentre il vero sé resta ammutolito.

I pazienti caratterizzati da questo schema sono maggiormente vulnerabili allo sviluppo della IBS, in quanto chi si prende cura degli altri più che di se stesso si focalizza con più probabilità su segnali corporei perché è meno in contatto con i propri bisogni emotivi.

Altri fattori di rischio più generali sono la presenza di abuso nella storia del paziente ed eventi stressanti.